Ginnastica ritmica, dai silenzi alle denunce.

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Ginnastica ritmica, dai silenzi alle denunce.


Le denunce delle atlete italiane sulle violenze psicologiche invitano ad una riflessione: no allo sport come violenza fisica e psicologica in vista delle prestazioni.

Gli episodi di body shaming e violenza psicologica che stanno emergendo in questi giorni dai racconti di alcune atlete delle “Farfalle” di ginnastica ritmica della nazionale Italiana, sono sicuramente la punta di un iceberg nascosto in alcuni ambienti sportivi ma non solo. Pensiamo che sport, violenza fisica e psicologica non sono termini che possono coesistere.

 Che l’agonismo sia costellato da spirito di sacrificio, di costanza, di fatica e di rigore è indubbio, ma quando questo si trasforma in sofferenza e violenza fisica e psicologica tanto, in alcuni casi, da costringere le atlete a pensieri suicidi, si è superato il limite.

Dalla denuncia di Nina Corradini, si è aperto il vaso di Pandora, ex atleta di ginnastica ritmica, è nato un caso su presunti abusi fisici e psicologici perpetrati dalle ex allenatrici del centro federale di Desio, che ha portato altre atlete a raccontare con coraggio le loro esperienze negative, dando una visione di come anche il mondo dello sport sia contaminato da sofferenza, umiliazioni giornaliere, malessere fisico e psicologico sono questi i sentimenti provati dall’atleta Nina Corradini alle parole: “Maialina”, “Vergognati”, “mangia di meno”, “come fai a vederti allo specchio?sentimenti che nel suo caso e in altri si sono trasformati in comportamenti dannosi per la loro salute; come le ripetute privazioni alimentari fino all’assunzione di farmaci per perdere peso, al fine di evitare le continue vessazioni subite dopo i giornalieri check di controllo.

Ancora più sconcertanti, le dichiarazioni di Anna Basta, anche lei ex atleta del centro federale da quando aveva 15 anni. La giovanissima atleta ha raccontato di aver fatto spesso pensieri suicidi, di aver sofferto attacchi di panico e di aver sviluppato problemi alimentari, proseguiti anche dopo l’esperienza sportiva. A tutto ciò si aggiungerebbe, come da quest’ultima dichiarato, l’immobilismo dei “piani alti”, la mancanza di interventi su queste procedure dopo che la stessa aveva denunciato la situazione subita. 

I fenomeni di violenza psicologica e body shaming devono essere pertanto stigmatizzati e repressi all’origine. Fare chiarezza, quando emergono vicende come queste, è dovuta anche per rendere merito e giustizia a tutte quelle società sportive che operano seriamente ed hanno a cuore prima di tutto il benessere delle atlete e degli atleti e che non hanno nulla a che vedere con certe pratiche.

Come Associazione che si occupa di violenza alle donne, dobbiamo lottare affinché tutti ed in particolare i più fragili, abbiano pari dignità e opportunità di esprimersi nello sport come in ogni altro ambito della propria vita personale e lavorativa indipendentemente dal loro peso, altezza, bellezza, abilità e disabilità.


Anna Silvia Angelini 

Presidente AIDE Nettuno APS 

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